No, non è il titolo di una newsletter d’epoca o una minaccia campata in aria: è quello che sta succedendo davvero.
Dal 3 aprile 2025, gli Stati Uniti hanno ufficialmente introdotto un dazio del 20% sui prodotti provenienti dall’Unione Europea. E indovina un po’? Anche il vino è finito nella lista. Sì, anche il nostro. Quello che racconta territori, mani callose e vendemmie da ricordare.
E l’Italia, che di vino non solo ne beve ma soprattutto ne esporta, si è trovata nel bel mezzo di un brindisi interrotto. O, per dirla senza troppi giri di parole: rischiamo grosso.
Ma quanto grosso? E cosa dicono davvero le persone che il vino lo producono, lo raccontano, lo vendono ogni giorno?
Noi di 7pm siamo stati a Vinitaly 2025 per capirlo da vicino — tra conferenze, stand, calici e conversazioni rubate tra corridoi e degustazioni.
La situazione, in breve (ma non troppo)
Gli Stati Uniti non sono un mercato qualsiasi: sono il mercato per il vino italiano. Nel solo 2024, le nostre esportazioni oltreoceano hanno sfiorato i 2 miliardi di euro.
Eppure, da un giorno all’altro, tutto questo è diventato più complicato. Il dazio del 20% scattato il 3 aprile non guarda in faccia nessuno: colpisce vini rossi, bianchi, spumanti, e perfino bottiglie da pochi euro o grandi etichette da collezione.
Il rischio? Secondo le prime stime, oltre 320 milioni di euro l’anno, con più di 480 milioni di bottiglie coinvolte. Un impatto potenzialmente devastante, soprattutto per le piccole e medie aziende.
Non è la prima volta che il vino si trova nel mezzo di una battaglia commerciale, ma ogni volta sembra di combattere a mani nude.
Le cantine italiane: in trincea
Nei padiglioni di Vinitaly, tra uno spumante fruttato e un rosso austero, il tema era ovunque.
I distributori americani non assorbiranno i costi — questo è già chiaro — e saranno quindi le cantine italiane a dover stringere i denti.
Lo ha spiegato bene un produttore toscano incontrato davanti a un calice di Sangiovese:
“Abbiamo investito dieci anni per costruire una rete negli USA. Ora dobbiamo decidere se tagliare i margini o fermare le spedizioni. E nessuna delle due è una scelta felice.”
Alcuni importatori americani hanno già iniziato a rallentare gli ordini, in attesa di capire che piega prenderanno le cose. L’incertezza è palpabile, ma non manca neanche la determinazione.
Reazioni, strategie e un pizzico di diplomazia
Durante la fiera, UIV e Coldiretti hanno lanciato segnali forti. Serve una risposta decisa da parte dell’Europa, ma nel frattempo il comparto non sta fermo.
Si lavora su tre fronti:
- Eventi promozionali mirati negli USA, per mantenere viva l’attenzione sul vino italiano
- Vinitaly USA, la seconda edizione a Chicago in autunno, diventa più strategica che mai
- Riposizionamento sui vini premium, che soffrono meno l’aumento di prezzo
Il tutto mentre le cantine italiane si dividono tra preoccupazione, resilienza e un’irriducibile voglia di continuare a versare qualcosa di buono nei bicchieri di tutto il mondo.
Guardare oltre l’oceano: una mappa in evoluzione
Se il mercato americano si complica, l’unica strada è non puntare tutto su un solo tavolo. E infatti, molte aziende stanno già orientando bussola e taccuino verso:
- Asia, con Corea del Sud e Giappone in testa
- Canada, mercato stabile e curioso
- Sud America, emergente ma con segnali promettenti
- Europa continentale, dove si intravedono timidi segnali di ripresa
Intanto, tra i filari si ragiona di sostenibilità, tracciabilità, digitalizzazione. Innovare per restare in piedi: questa è la parola chiave. Anche con l’oceano di mezzo.
E noi? La voce di 7pm
A Vinitaly 2025 l’atmosfera non era certo da fuochi d’artificio. Ma nemmeno da bandiera bianca.
Tra un rosato pugliese imbottigliato a mano e un orange wine dell’Oltrepò bevuto sul serio, senza troppe pose, abbiamo percepito:
- produttori agguerriti
- buyer guardinghi
- e tanti calici pieni di orgoglio e voglia di futuro
Il vino italiano ha attraversato crisi, pandemie, grandinate e guerre dei dazi.
E ha sempre trovato un modo per farsi amare, raccontare e — soprattutto — bere. Anche quando l’etichetta costa un po’ di più.
Il dazio USA del 20% è una nuova sfida per il vino italiano, e le cantine, soprattutto quelle più piccole, rischiano davvero molto. Ma la risposta del settore è chiara: diversificazione, promozione e qualità. Nonostante le difficoltà, il vino italiano resta forte, umano, e pronto a reinventarsi.
Noi di 7pm torniamo da Vinitaly con la certezza che, nonostante tutto, un buon bicchiere continuerà ad aprire conversazioni — e magari anche qualche trattativa!