La barrique non è il male. Dipende da chi la usa.

Barrique

C’è stato un tempo in cui dire “barrique” faceva figo. Bastava nominarla e subito si pensava a vini eleganti, importanti, “internazionali”. Poi è arrivato lo snobismo inverso: oggi basta sentire un accenno di vaniglia nel bicchiere e c’è chi storce il naso, sospira e sussurra con tono accusatorio: “eh… troppa barrique”.

Ma come spesso accade nel vino, la verità è più sfumata, più complessa. E molto più interessante.

In questa puntata di Il vino spiegato bene, proviamo a capire che cos’è davvero una barrique, a cosa serve, e soprattutto perché non è il diavolo in bottiglia.

Cos’è una barrique?

Una barrique è una piccola botte da 225 litri, realizzata quasi sempre in rovere francese o americano. È uno strumento antico, ma negli ultimi decenni è diventata una sorta di protagonista (o antagonista) del vino moderno.

Quando il vino riposa in una barrique, il legno rilascia lentamente:

  • Aromi: vaniglia, cocco, spezie dolci, cioccolato, pane tostato;
  • Tannini: che danno struttura e favoriscono l’evoluzione del vino nel tempo;
  • Ossigeno (in dosi microscopiche): utile per affinare il vino e renderlo più armonico.

Insomma: la barrique non si limita a contenere, ma trasforma, interagisce, lascia il segno.

Perché è stata demonizzata?

Negli anni ’90 e 2000 c’è stato un vero e proprio boom della barrique. Era sinonimo di modernità, eleganza, “internazionalità”. Il problema? Si è esagerato.

Tanti vini sono diventati cloni vanigliati, tutti con lo stesso profumo da pasticceria, spesso indistinguibili l’uno dall’altro. In alcuni casi, si usava la barrique per mascherare i difetti, o per dare un tocco glamour a vini mediocri. Un po’ come mettere il profumo per non farsi la doccia.

Il risultato? Una reazione di rigetto. La barrique è diventata il simbolo del vino “finto”, “costruito”, troppo pettinato.

Ma oggi?

Oggi il mondo del vino è cambiato. E tanti produttori hanno imparato a usare la barrique con intelligenza, rispetto e misura. Ecco come:

  • Usano legni meno tostati, che non coprono i profumi dell’uva;
  • Utilizzano barrique usate, che rilasciano meno aromi ma permettono comunque il micro-ossigeno;
  • Mescolano affinamenti in barrique con quelli in botti grandi, acciaio, o anfore;
  • Accorciano i tempi di affinamento, per non sovraccaricare il vino.

Ne derivano vini più complessi, ma non caricaturali. Con più profondità, meno make-up. Vini in cui il legno è un sussurro, non un megafono.

Regola d’oro?

Non è la barrique a fare il vino finto. È chi la usa male.

La barrique è uno strumento, come un pennello o una spezia. Se usata bene, può aggiungere sfumature, equilibrio, fascino. Ma se prende il sopravvento, il vino perde voce, personalità, territorio.

Un grande vino può nascere con o senza barrique. L’importante è che non sia il legno a parlare al posto dell’uva.

Ti sei perso l’episodio precedente? Parlavamo di vino naturale — e perché “naturale” non significa automaticamente “buono”. Dacci un sorso! E non finisce qui: presto parleremo di vini senza etichetta, di spumanti veri, e magari anche di quello zio che mette l’Amarone in frigo. Restate connessi!

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