Marc Chagall, maestro del sogno, non avrebbe mai scelto un vino che si limita a essere semplice. La sua visione del mondo era una continua ricerca di emozioni, visioni, ricordi. Per lui, la realtà era solo un pretesto per esplorare la sfera più profonda dell’anima.
Il suo calice non sarebbe stato un vino tecnico, da analizzare in tutti i suoi dettagli.
No, Chagall cercava qualcosa che galleggiava tra le nuvole, che si mescolava al suo mondo di sogno e colore. Un vino che non si lasciava definire, ma che ti invitava a sentirlo, a viverlo. Era un vino che ti parlava senza parole, come le sue tele, fluido e inafferrabile.
Vino come colore, sogno, simbolo
Il vino di Chagall non deve spiegarsi, deve evocare. Deve parlare per immagini, proprio come un dipinto che prende vita. Ogni bicchiere racconta una storia, un’emozione, un’idea che si trasforma in sensazione:
Gewürztraminer dell’Alsazia: profumato, speziato, dolce-amaro come la nostalgia. Questo vino ti trascina in un viaggio nel passato, ti racconta una fiaba in yiddish, la lingua che lui amava ascoltare, un inno al ricordo che non si perde mai.
Bianco macerato sloveno o friulano: opaco, profondo, quasi magico. È un vino-pittura, che ricorda le pennellate di un quadro che racconta la vita contadina. Il tannino è lieve, l’ossidazione controllata, e l’anima è quella di un vino che nasce dalla terra, un vino che sembra voler farsi ricordare.
Rosato da Pinot Grigio ramato: cangiante, sospeso, come i volti fluttuanti nei suoi quadri. È un vino che cambia sotto la luce, che sfuma come il cielo di un tramonto o la nuvola che sorregge il cavallo blu dei suoi sogni. Un sorso che muta, che ti fa vedere il mondo sotto una luce diversa.
Il vino come memoria, non come moda
Chagall, con la sua pittura, non si limitava a ritrarre il presente. I suoi dipinti parlano di sogni, di infanzia e di lontananza. La sua arte nasceva a Vitebsk, ma prendeva forma sotto il cielo parigino, tra le ombre dell’esilio. Il vino che avrebbe scelto sarebbe stato altrettanto di frontiera, fatto di radici lontane, forse ebraiche, forse francesi, ma sempre senza l’eccesso di etichette dorate. Un vino che cambia a ogni sorso, che si trasforma mentre lo sorseggi, proprio come la sua arte.
Questo vino profuma di campo, di fieno, di cera d’api, di spezie e di uva vera, come un ricordo che emerge inaspettatamente e che ti sorprende per la sua bellezza. È un vino che non si lascia domare, che non è mai uguale a se stesso. Ogni volta che lo assaggi, ti racconta qualcosa di nuovo.
Se fosse rosso?
Un Pinot Noir della Valle d’Aosta, fragile e sottile, che ti avvolge delicatamente. O forse un Mondeuse della Savoia, raro, fine, con note di viola e melograno, capace di regalarti un respiro di eleganza. Un vino che bevi quando vuoi parlare piano, quando il mondo intorno si fa silenzioso e il cuore ha bisogno di essere ascoltato.
Cosa gli serviremmo a 7pm.fun?
Se dovessimo servire un vino a Marc Chagall a 7pm.fun, non ci sarebbe dubbio. Un orange wine di Radikon o Dario Princic, dai colori da acquarello e dalla struttura che sembra una poesia. Un vino che si lascia assaporare lentamente, come un sogno che non ha fretta di finire. Oppure un Gewürztraminer di Zind-Humbrecht, che ti avvolge come un sogno che non finisce mai, un abbraccio di emozioni che non ti lascia mai indifferente.
E per le sere più silenziose, un Muscat secco, aromatico, puro, da bere guardando una finestra aperta sulla luna, quando il mondo si fa sospeso e ogni pensiero si dissolve nell’aria.
Marc Chagall avrebbe scelto un vino che non segue la logica, ma che ti invita a vivere un’esperienza. Un vino che non ti dice “ecco cosa sono”, ma sussurra “ecco cosa potresti sentire”. Un vino che disegna una storia nel bicchiere, come uno dei suoi quadri, dove ogni pennellata racconta qualcosa che va oltre la realtà, che si perde nella dimensione del sogno.