Il vino di Giuseppe Garibaldi: un rosso schietto, patriottico, da marcia e da osteria

Giuseppe Garibaldi che beve un calice di vino rosso

Giuseppe Garibaldi non era il tipo da vini da meditazione, quelli che ti invitano a riflettere e sussurri in silenzio sul loro bouquet di frutti e spezie. No, lui aveva ben altro a cui pensare. La sua vita era una corsa senza sosta, tra battaglie, navigazioni e unioni di popoli. Se c’era una cosa che Garibaldi sapeva fare era vivere velocemente e con passione. E per lui, il vino doveva essere lo specchio di questa vita: semplice, diretto, schietto, senza fronzoli. Un vino rosso come la sua camicia, da condividere con gli amici dopo una battaglia (o prima, perché no?). Un vino da “bevuta di corsa”, un po’ come lui.

Un vino dell’unità, della terra, del popolo

Garibaldi non avrebbe mai apprezzato quei vini raffinati, prodotti nelle cantine sontuose dei grandi nomi. Quelle cantine che sembrano dire: “Siamo speciali”. No, lui avrebbe preferito un vino che parlasse di terra, di uomini, di fatica. Quello che sa di vero, di autentico, di radicato. Perché Garibaldi, che amava le sue battaglie quanto le sue terre, avrebbe scelto un vino che fosse parte della sua storia, della sua terra. Il suo vino sarebbe stato proprio così:

  • Cannonau di Sardegna: forte, asciutto, quasi rude. Un vino che racconta il calore della Sardegna, dove Garibaldi visse a Caprera. Questo vino, con la sua anima di pietra e sole, sarebbe stato quasi un compagno di viaggio. È il tipo di vino che, se ti fa sudare, ti fa sentire vivo. Il perfetto omaggio a un uomo che ha sempre vissuto al massimo, senza paura, ma anche con il cuore ben piantato sulla terra.
  • Lambrusco di Sorbara (secco): frizzante, dissetante, pieno di energia. Un vino che ti prende alla gola, ti scuote e ti fa sentire il battito del momento. Garibaldi amava le compagnie, e questo vino è perfetto per quelle serate da osteria, quando il tempo si ferma per una risata e un brindisi. Da bere a garganella, con il salame, il formaggio e la sensazione che niente potrebbe mai fermarti. Un vino che ha dentro il cuore della rivoluzione e della convivialità, come un brindisi fatto tra amici prima di lanciarsi in un’impresa.
  • Sangiovese dei Colli Romagnoli: un rosso nervoso, chiaro, come una decisione presa in fretta e portata fino in fondo. Garibaldi era un uomo che non perdeva tempo. Ogni sua scelta era definitiva, come il suo carattere. Questo Sangiovese, vivace e deciso, rappresenta proprio quell’impulsività, quella passione che Garibaldi metteva in tutto, dalle sue battaglie ai suoi amori.

Niente snobismi, solo fuoco

Il vino di Garibaldi non ha bisogno di eleganza ostentata. Non si trova in calici di cristallo o in bottiglie da collezione. No, il suo vino si versa in tazze di metallo, o in bicchieri sbeccati, quelli che ti raccontano di vite vissute e di mani callose. Garibaldi non avrebbe avuto tempo per quei riti sofisticati. Per lui, il vino doveva essere semplice. Si versa, si beve, si sente il calore della bevanda che scende giù, un po’ come sentire il fuoco che ti brucia dentro dopo una giornata lunga e faticosa.

Eppure, non fraintendiamoci: il vino di Garibaldi non è un vino banale. È un vino con carattere. Con forza. Con storia. È il vino di chi ha fretta di vivere, ma non dimentica mai da dove viene. Non è un vino da sorseggiare lentamente, ma un vino da gustare con passione, con gli amici che ti stanno accanto, e magari anche con quelli che non vedrai mai più. Un vino che, quando lo bevi, ti senti più vicino alla terra e più vicino agli uomini che, come lui, hanno fatto l’Italia.

E se fosse bianco?

In un mondo parallelo, in cui Garibaldi avesse dovuto scegliere un vino bianco, forse avrebbe optato per un Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico. Secco, minerale, senza fronzoli. Un bianco che non si nasconde dietro l’etichetta, ma che, come lui, va dritto al punto. Ma, diciamocelo: Garibaldi amava il rosso. Come la sua bandiera, come la sua camicia, come la sua passione. Il rosso è sempre stato il suo colore, quello che lo rappresentava davvero.

E da 7pm.fun, cosa gli serviremmo?

Immagina Garibaldi seduto a un tavolo di una piccola osteria, con una bottiglia di Cannonau di Mamoiada, prodotto da una cantina che lavora ancora con i piedi e la luna. Un vino che sembra parlare di fatica, ma anche di passione e di radici profonde. Oppure un Lambrusco rifermentato in bottiglia, torbido, selvatico, pieno di vita, che sembra sfidare le convenzioni e dire “Non importa da dove vengo, importa solo dove ti porto”.

E poi, come avrebbe fatto Garibaldi, gli lasceremmo la bottiglia sul tavolo. Non c’è bisogno di farlo “assaporare” o di parlare troppo del vino: Garibaldi lo avrebbe preso da solo. Lui, che nella sua vita non ha mai chiesto permesso per nulla, nemmeno per godersi un buon vino.

Garibaldi beveva vino come faceva l’Italia: con passione, senza chiedere il permesso di nessuno. Ogni sorso era un inno alla libertà, una dichiarazione che, anche nei momenti di quiete, si può essere pronti per una nuova battaglia!

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