David Bowie non era semplicemente un musicista. Era un intero universo, un corpo celeste fuori orbita, capace di ridefinire il concetto stesso di identità a ogni decennio. Un alieno del pop, un esploratore del suono, dello stile, dell’arte e dell’anima. Se fosse stato un vino? Di certo non sarebbe qualcosa di scontato o facilmente etichettabile. Sarebbe un bianco – sì – ma non qualunque. Un bianco tagliente, minerale, con dentro qualcosa di indefinibile: una scintilla, un lampo, una vibrazione cosmica. Un vino con lo sguardo rivolto alle stelle, ma radici profondamente piantate nella terra.
Un bianco da un altro pianeta
Impossibile racchiuderlo in una categoria. Ma possiamo provare a evocarlo, come si fa con un ricordo, con un sogno, con una canzone di quelle che ti lasciano sospeso.
Potrebbe essere un Riesling secco della Mosella. Un vino acido e vibrante, che gioca con note di lime, pietra focaia e un’eleganza lunare. Un sorso che accende la mente e la lingua. Bowie amava Berlino: i suoi anni tedeschi sono stati un periodo di rigenerazione, di sperimentazione profonda. E i Riesling tedeschi, cerebrali ma vivi, poetici ma concreti, gli sarebbero piaciuti. Ne siamo certi.
Oppure un Vermentino di Gallura, con quella sua energia salina, la luce mediterranea che sa anche farsi ombra. Un vino che cammina sul crinale tra brillantezza e profondità. Glam, ma mai superficiale. Solare, ma con segreti nascosti. Come il Duca Bianco in persona.
E perché non un Etna Bianco da Carricante? Un vino vulcanico, verticale, minerale. Nato da una montagna che respira fuoco, ma si veste di neve. Un bianco che sale, si tende, si trasforma nel bicchiere. Un vino che sembra una scala verso Marte, o una nuova fase creativa.
Un vino glam? Sì, ma con cervello
Bowie non avrebbe mai scelto un vino solo per l’etichetta. Ma un’etichetta d’artista, sì. Un progetto pensato, disegnato, suonato quasi. Qualcosa di curato fin nei dettagli, che racconta una storia, o meglio, tante storie intrecciate. Un vino che si muove, che evolve nel bicchiere, che ti sorprende quando meno te lo aspetti. Che non finisce in una frase sola.
E se fosse rosso?
Bowie sapeva essere anche profondo, misterioso, malinconico. In quei momenti, forse, si sarebbe versato un Pinot Noir della Borgogna. Un vino cangiante, elegante, nervoso. Mai uguale a sé stesso. Come Ziggy Stardust, ma in forma liquida. Ti guarda con occhi diversi a ogni sorso.
Cosa gli serviremmo da 7pm.fun?
Un Riesling di Clemens Busch (Mosella): secco, profondo, con tensione elettrica e un finale che sembra non finire mai. Oppure un Etna Bianco di Girolamo Russo: luce e complessità, ma sempre con un sottotesto scuro, una nota che ti fa pensare.
E per quelle sere in cui torna a essere solo David Jones, l’uomo dietro il mito? Un bianco friulano macerato. Con il profumo dell’autenticità, della terra, delle radici. Perché anche gli alieni, ogni tanto, hanno bisogno di sentirsi umani.
David Bowie avrebbe bevuto vino come scriveva canzoni: senza paura di cambiare. Senza restare intrappolato in un genere, in un’etichetta. Ogni bottiglia una nuova era. Ogni calice un alter ego. E tu, quale Bowie vuoi nel bicchiere stasera?