Hai presente quella sensazione che provi quando assaggi qualcosa di così buono da non riuscire a descriverlo con le solite parole?
Non è né dolce, né salato, né amaro o acido.
È un altro sapore, più profondo, avvolgente, quasi misterioso. Si chiama umami, e negli ultimi anni ha cominciato a prendersi la scena anche nei cocktail bar di tutto il mondo. Sì, hai capito bene: l’umami è sbarcato nei bicchieri. E uno degli ingredienti più interessanti che sta portando questa rivoluzione è il miso.
Quel miso lì, proprio quello delle zuppe giapponesi, delle marinature, delle salse dense e saporite. Quello fatto con soia fermentata, a volte riso, a volte orzo. Un condimento dalle radici millenarie che, con il suo gusto profondo e complesso, ha fatto innamorare anche i bartender.
Perché? Perché è capace di trasformare un drink in un’esperienza: più intensa, più strutturata, più sorprendente.
Il miso: un ingrediente che cambia le regole del gioco
A prima vista sembra quasi strano immaginarlo in un cocktail. Eppure, il miso è perfettamente a suo agio tra gli shaker e i mixing glass. Dà profondità, esalta gli altri ingredienti, lega i sapori come un collante aromatico. E soprattutto, porta con sé quella magia del fermentato che in cucina (e ora anche nei drink) fa brillare i piatti più semplici.
Ci sono diverse varietà di miso, ognuna con un profilo diverso: dal bianco (più delicato e dolce) al rosso (più deciso e intenso), fino a quelli scuri, quasi cioccolatosi, con note tostate e una salinità pronunciata. È proprio in questa varietà che i bartender hanno trovato un terreno fertile per creare nuove ricette. Mischiando miso con whisky, tequila, rum o gin, nascono cocktail che sorprendono al primo sorso e conquistano al secondo.
Dai locali di Tokyo ai bar di New York
Tutto è partito, come spesso accade, da Tokyo. Lì il miso è un ingrediente quotidiano, parte dell’identità gastronomica giapponese. Ma è stato il talento e la visione di alcuni mixologist locali – come Takahiro Ueno – a trasformarlo in un ingrediente da cocktail. Il suo “Miso Old Fashioned” è diventato una piccola leggenda urbana: un twist geniale che ha aggiunto una profondità nuova al classico bourbon e bitter.
Poi la tendenza è volata a New York, dove bar come Death & Company e Pegu Club non hanno perso tempo. Il miso è stato combinato con vermouth, gin, sciroppi homemade, agrumi freschi. Ogni drink una piccola sinfonia, con l’umami a fare da direttore d’orchestra.
Come si usa davvero il miso nei cocktail?
La chiave è la misura. Il miso ha un gusto forte, deciso, e va dosato con cura. Niente cucchiai pieni buttati nello shaker. Spesso viene stemperato in sciroppi (tipo uno sciroppo di miso e miele), oppure mescolato con succo di lime o di pompelmo per creare basi complesse ma equilibrate.
Prendiamo il Miso Margarita: tequila, succo di lime fresco, un tocco di sciroppo d’agave… e un cucchiaino di miso bianco ben amalgamato.
Il risultato?
Un Margarita rotondo, dove l’umami esalta la parte agrumata e rende il sorso più profondo.
Oppure il Miso Whisky Sour: whisky, limone, zucchero e un tocco di miso rosso. Il miso aggiunge spessore al palato, quasi una sensazione di velluto in bocca.
Perché proprio l’umami?
Per anni, nella mixology, i sapori dominanti sono stati dolce, acido e amaro. Poi è arrivata la moda del salato: pensiamo al Dirty Martini o ai Margarita con bordo di sale. Ora è il momento dell’umami, che unisce tutto e rende ogni sorso più interessante. È il sapore che “riempie la bocca”, che crea complessità senza bisogno di mille ingredienti.
Sempre più bartender stanno riscoprendo il valore degli ingredienti fermentati: non solo miso, ma anche shoyu (la salsa di soia), kombucha, kefir e garum. È una frontiera nuova, che avvicina la mixology alla cucina d’autore, e che piace a chi cerca esperienze sempre più complesse e personalizzate.
Una moda o un nuovo paradigma?
Difficile dire se durerà per sempre, ma una cosa è certa: l’umami ha aperto una porta.
Ha mostrato che un cocktail può essere anche sapido, profondo, quasi “umile” ma estremamente sofisticato. E in un’epoca in cui il pubblico è sempre più curioso, attento e avventuroso, questa è una direzione che promette molto.
Quindi sì, potremmo dire che l’umami è il futuro. Non l’unico, certo, ma uno dei più interessanti. Soprattutto se il prossimo cocktail che assaggerai sarà preparato da un bartender che sa raccontarti non solo cosa c’è nel bicchiere, ma anche perché.