Immagina di entrare in un cocktail bar alla moda, ordinare un Negroni e vederlo uscire… da una spina.
Nessun shaker che tintinna, nessun bartender che dosa con precisione gli ingredienti: solo una leva da azionare e, pochi secondi dopo, il tuo drink è pronto.
Magia? No, cocktail alla spina.
Quella che potrebbe sembrare una provocazione per i puristi del buon bere, è in realtà una delle tendenze più interessanti (e discusse) degli ultimi anni. Nata nei bar americani e ora in lenta, curiosa espansione anche da noi, questa modalità di servizio ha il potenziale per rivoluzionare – o forse solo affiancare – il modo in cui viviamo l’aperitivo e il dopocena. Ma è davvero una svolta o solo l’ennesima moda destinata a svanire?
Una moda che arriva da lontano
Negli Stati Uniti, il cocktail alla spina è già realtà. Non solo nei grandi locali delle metropoli come New York, Los Angeles o Chicago, ma anche nei bar più piccoli e creativi. Lì, l’obiettivo è chiaro: servire in fretta, con costanza e senza sacrificare la qualità. E sorprendentemente, funziona.
Il segreto sta nei sistemi di spillatura evoluti, pensati appositamente per i cocktail: contenitori pressurizzati, miscele calibrate al millilitro e un lavoro a monte fatto dai bartender per creare una “ricetta perfetta” pronta a essere servita decine di volte al giorno. Dai Gin Tonic ai Moscow Mule, passando per Negroni e Margarita, il risultato è sorprendentemente simile – se non identico – a quello ottenuto con il classico rituale dello shaker.
E per i bar?
I vantaggi sono tanti: meno attese al bancone, costi sotto controllo, scarti ridotti e una qualità sempre uniforme. In un mondo che va veloce, dove la richiesta di drink aumenta e la clientela è sempre più esigente, questa soluzione fa gola a molti.
E in Italia? Una questione di cultura (e cuore)
Nel Bel Paese però, il cocktail alla spina incontra resistenze. Perché qui, il drink è ancora un rito. Il bartender è l’artigiano della notte, la persona che – con gesti precisi e ingredienti scelti – costruisce ogni volta qualcosa di unico. Il cliente si aspetta attenzione, dialogo, una spruzzata di personalità nel bicchiere. E spillare un cocktail può sembrare, a prima vista, un tradimento di questo spirito.
Ma le cose stanno cambiando. Lentamente, ma cambiano. Alcuni locali pionieri – come il celebre Rita’s Cocktail Bar di Milano – hanno iniziato a sperimentare la spillatura in contesti specifici, come eventi aziendali o fiere. L’obiettivo? Accelerare i tempi senza perdere qualità. E il risultato convince.
L’Italia, con la sua cultura del bere “su misura”, non rinuncerà mai del tutto al cocktail fatto al momento. Ma in certe situazioni, come un evento con centinaia di persone o un bar affollato in pieno weekend, la spina può diventare un alleato prezioso.
Moda passeggera o futuro del bartending?
La verità, come spesso accade, sta nel mezzo. Il cocktail alla spina non sostituirà il gesto del bartender, ma potrà convivere con lui. È una soluzione pratica, furba e moderna, che risponde a esigenze specifiche. Non si tratta di perdere l’anima, ma di trovare un equilibrio tra innovazione ed esperienza.
E poi, diciamocelo: se la qualità c’è, se il drink è buono, se l’esperienza resta piacevole… davvero importa da dove esce?
La tendenza è destinata a crescere, anche in Italia.
Magari non nei piccoli bar di quartiere o nei lounge più eleganti, ma sicuramente in quei contesti dove efficienza e rapidità sono fondamentali.
La vera sfida sarà mantenere l’anima artigianale anche in questo nuovo formato. E forse, in fondo, è proprio questa la rivoluzione.