C’è chi li ama dopo cena, chi li beve come rito di famiglia, chi li sceglie per esplorare sapori nuovi, intensi, talvolta ruvidi ma sinceri. Gli amari sono un universo aromatico che unisce territori, tradizioni, spezie, ricordi e alambicchi nascosti nelle cucine di una volta.
In Italia, ogni regione ha il suo elisir: alcuni sono noti in tutto il mondo, altri sopravvivono grazie a piccoli produttori, custodi di ricette segrete tramandate da nonni speziali o farmacisti con il pollice verde.
E poi ci sono gli amari internazionali, che dimostrano come il gusto per l’erbaceo non conosca confini.
Pronti a scoprirli insieme?
Gli amari regionali italiani – tra tradizione popolare e alambicchi di famiglia
Parlare di amari in Italia è come parlare di dialetti: ce n’è uno diverso a ogni curva di collina. Ed è proprio questa diversità a renderli affascinanti. Ogni bottiglia racconta un pezzo di territorio, con le sue piante, storie e necessità: c’era chi li preparava per digerire dopo un pasto abbondante, chi li beveva come tonico, chi li offriva come segno di ospitalità.
In Piemonte, ad esempio, troviamo l’Amaro Ramazzotti, nato a Milano ma da subito accolto con entusiasmo anche a Torino. Ma il Piemonte ha anche altre chicche come l’Amaro Cora, e il misterioso San Simone, legato alle ondate migratorie del Novecento.
In Trentino e in Valle d’Aosta, l’aria di montagna si sente anche nel bicchiere. L’Amaro Braulio, nato a Bormio nel 1875, è diventato il compagno ideale dopo una sciata. E poi c’è l’Ebo Lebo valdostano: il nome già fa sorridere, ma il contenuto è una miscela potente e benefica di erbe alpine.
In Friuli, l’Amaro Tosolini Antico Rimedio ci riporta al 1918, con radici profonde nella cultura del rimedio casalingo che univa botanica e pragmatismo contadino.
Nel Centro Italia, il panorama si fa più caldo e speziato. Il marchigiano Varnelli è noto per il suo profilo aromatico deciso, mentre l’abruzzese Jannamico è un classico da fine pasto con la nonna. E poi c’è l’Amaro Sibilla, dai Monti Sibillini: erbe montane e miele in un bicchiere che sa di bosco e racconti antichi.
Al Sud, l’Amaro del Capo è un’istituzione. Si beve ghiacciato, a –20°C, per esaltare la cremosità degli oli essenziali delle sue 29 erbe. In Basilicata, l’Amaro Lucano – “Cosa vuoi di più dalla vita?” – racconta un Meridione intenso, profumato, genuino.
Amari da erbe e radici – il lato botanico del bicchiere
Dietro ogni amaro c’è una piccola erboristeria liquida. Alcuni puntano su un’esplosione di botaniche: l’Amaro Montenegro, ad esempio, ne conta ben 40. Il Petrus, con il suo mix di spezie, è più profondo, più deciso. E l’Elisir Borsci, con eucalipto, ginepro e canfora, è come una passeggiata in una foresta profumata.
Poi ci sono gli amari con un solo grande protagonista: il Cynar, col suo carciofo iconico. Il Rabarbaro Zucca, la China Martini e il Ferro China Bisleri, pensati come ricostituenti, sono esempi perfetti di farmacia liquida.
E infine, gli amari alpini, balsamici, tonificanti: il Walser, il Wunderbar della distilleria Magnoberta, e il Toccasana Negro, ispirato agli erbari antichi e alle farmacie di una volta. Sapori che sanno di bosco, altitudine e silenzio.
Amari internazionali – quando l’amaro viaggia (e conquista)
Fuori dall’Italia l’amaro ha preso strade sorprendenti. Il Fernet Branca, nato a Milano nel 1845, è oggi l’amaro nazionale argentino: il mitico Fernet con coca è un vero rito urbano.
Il Jägermeister, con il cervo sull’etichetta, nasce in Germania negli anni ’30 e include 56 botaniche segrete. Filtrato su carbone, invecchiato in botti, è oggi un simbolo della nightlife globale.
L’Angostura, nata come rimedio per la febbre in Venezuela, è oggi un ingrediente chiave nei cocktail. Il Petrus olandese, invece, rimane un’icona amarissima: negli anni ’70 la sua pubblicità era tutto un programma – “l’amarissimo che fa benissimo”.
Perché l’amaro piace e continuerà a piacere
Gli amari sono molto più che un fine pasto. Sono un linguaggio aromatico che va capito, ascoltato, interpretato. Hanno bisogno di tempo e attenzione. Ma una volta entrati nel mondo degli amari, non se ne esce facilmente.
Ogni sorso è un racconto, una storia fatta di erbe, mani sapienti, stagioni, pazienza. E ognuno può trovare il proprio amaro ideale, quello che ti accompagna dopo cena, quello da offrire agli amici, quello da tenere per le occasioni speciali.
Nel prossimo articolo potremmo parlare di amari da miscelazione, di cocktail vintage e twist moderni, di come l’amaro stia tornando protagonista anche dietro al bancone. Ma intanto… versiamocene un altro, e brindiamo alle storie che sanno di terra, di foglie, di radici. E di tempo.
Come servire il tuo amaro al meglio
Amaro del Capo
- Servilo ghiacciato a -20°C
- Ideale d’estate o dopo cena
- Perfetto con cioccolato fondente o un sorbetto agrumato
Braulio
- Bevilo fresco (ma non ghiacciato)
- Ottimo dopo una camminata o una sciata
- Sta benissimo con formaggi stagionati o dolci secchi
Cynar
- A temperatura ambiente o con ghiaccio
- Ottimo come aperitivo, anche con soda o in cocktail
- Si sposa con olive, stuzzichini, paté
Varnelli
- Va gustato a temperatura ambiente
- Ideale per la meditazione post pasto
- Da provare con frutta secca, fichi o dolci al miele
Jägermeister
- Meglio molto freddo, quasi da freezer
- Da bere liscio, come shot, o in miscelazione
- Abbinabile a drink energizzanti (se vuoi esagerare)
Fernet Branca
- Liscio, fresco, oppure con cola (alla argentina)
- Post cena o come digestivo strong
- Da provare con un caffè espresso accanto
Montenegro
- Versatile: buono liscio, con ghiaccio o in cocktail
- Ideale come digestivo leggero
- Provalo con scorza d’arancia o un dolcetto secco
E tu, qual è l’amaro che ti rappresenta di più – quello che non manca mai nella tua credenza o che ti riporta subito a un ricordo preciso?